Filippo Moyersoen non è solo un grande cavaliere e un professionista eccezionale: lui è innanzitutto un grande uomo di cavalli, che negli anni si è formato ed è cresciuto con umiltà e passione accanto a questi animali. La sua equitazione, precisa e leggera, lo ha portato fino alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e lo ha accompagnato per molti anni a seguire sui campi più belli e importanti al mondo. Ancora oggi, nonostante le vittorie, le coppe e le coccarde conquistate, Filippo Moyersoen ogni volta che sale in sella, si mette in discussione e cerca le risposte nell’unico luogo in cui bisognerebbe sempre cercarle: nel suo cavallo.
Signor Moyersoen, partendo dalle basi, cosa è importante che i ragazzi imparino subito?
«La cosa più importante da insegnare all’inizio è la buona posizione in sella. Questo permette di avere l’indipendenza degli aiuti e la possibilità di dosarli. In seguito si insegna il tipo di aiuti e di richieste da fare al cavallo in ogni situazione: per aumentare l’andatura, per rallentare, per fare un circolo corretto dal punto di vista geometrico. Poi si può lavorare su esercizi come la cessione alla gamba sul circolo, cioè spostare il cavallo con la gamba interna verso l’esterno senza che questo determini un aumento di velocità».
E qual è il passo successivo?
«Poi bisogna spingere l’allievo a sentire come il cavallo risponde a ogni intervento. È tutto finalizzato a creare una comunicazione che sia comprensibile per l’animale. L’obiettivo finale è che il cavallo lavori in serenità e in leggerezza. L’allievo con il proprio corpo, nel giusto assetto, deve sentire il cavallo: se risponde o meno, se si contrae, se si mette sulle spalle. Il cavallo deve sempre avere una risposta positiva, senza contrarsi o tendersi. Il cavallo deve essere rilassato, nel buon equilibrio e nella regolarità del movimento, sia al trotto sia al galoppo, sia quando allunga sia quando accorcia».
Qual è l’esercizio che fa ripetere più spesso ai suoi allievi?
«Secondo me è fondamentale imparare a stare correttamente sull’inforcatura. Tante volte i ragazzi all’inizio muovono molto la parte bassa della gamba perché non hanno abbastanza appoggio sulle staffe, cosa che invece darebbe maggiore equilibrio. Invece, una volta che la gamba scende bene verso il basso con la caviglia rilasciata, la posizione viene da sé, senza pensarci. Per questo è utile anche lavorare sull’inforcatura con le due redini in una mano sola per rilasciare bene le spalle e il busto. Si può fare anche con dei piccoli salti in circolo, cercando di tenere un galoppo il più possibile regolare, senza degli improvvisi interventi davanti al salto. Un’altra cosa molto importante è lo sguardo del cavaliere: non deve essere fisso verso il basso né sul collo del cavallo, ma deve essere sempre rivolto in avanti, soprattutto quando si va a saltare perché lo sguardo aiuta ad aggiustare un po’ la posizione».
Secondo lei in un risultato sportivo quanto è talento e quanto è preparazione tecnica?
«Ci sono dei cavalieri che hanno più facilità, chiamiamolo talento, e altri che hanno più difficoltà nel coordinare il proprio corpo, questo è indubbio. Il cavaliere che ha talento farà più in fretta e il cavaliere che non ha talento ci metterà un po’ più di tempo a imparare, ma con le indicazioni corrette tutti riescono sempre a ottenere una progressione tecnica. E soprattutto bisogna rendersi conto che questa progressione è continua, non si finisce mai di imparare».
E lei quanto pensa di essere stato facilitato da una sua componente innata?
«Se devo essere sincero, non penso di essere partito con un gran talento, nel senso che all’inizio ero abbastanza imbranato. Poi, siccome sono 65 anni che lavoro sul mio corpo, ho imparato molte cose e l’allenamento mi ha permesso anche di capire meglio gli altri cavalieri. Alla fine chi ha talento fa più fatica a immedesimarsi negli altri cavalieri perché gli viene tutto facile. Invece chi, come me, ha dovuto lavorare parecchio su di sé riesce a immedesimarsi negli altri cavalieri e nelle loro difficoltà, e così può imparare da ciò».
Che consiglio vorrebbe dare ai ragazzi?
«Il consiglio è di portare pazienza e di vedere la gara non come un traguardo, ma soltanto come una verifica del lavoro che si fa a casa. L’obiettivo finale è la ricerca della buona comunicazione con il cavallo e renderci conto che abbiamo l’occasione di fare una cosa meravigliosa, che è interloquire con un animale che ci permette di passare dei momenti bellissimi».
Qual è la più grande lezione che lei ha imparato da questo sport?
«Io sto ancora imparando ogni giorno una lezione nuova. Ogni volta che sono in sella cerco di capire se quello che sto chiedendo al mio cavallo è corretto o se sto facendo un’azione che non capisce o che è troppo difficile per lui. Per cui, forse, la lezione è proprio questa: aver capito che il cavallo ti chiede soltanto di essere compreso e letto nei suoi comportamenti».